“ALBERTO E TOMMASO”
Scena Quarta: CONCLAVE
Parigi. Gennaio 1272. Alberto Magno e Tommaso D’Aquino sono insieme in una stanza semibuia, illuminata soltanto da una luce fioca che entra da una finestra gotica di forma molto allungata.
TOMMASO: Maestro, vi porto da Parigi le ultime notizie sulla Santa Sede. I Cardinali riuniti nel Palazzo dei Papi a Viterbo non hanno ancora trovato un accordo. Ormai credo siano circa tre anni che abbiamo la “Sede Vacante”. Non è assurdo e allarmante tutto ciò?
ALBERTO: Questo dipende dall’influenza negativa dei Cardinali partigiani di Carlo D’Angiò. Sono loro che causano risse e tumulti continui. Ecco la ragione per cui già lo scorso anno Bonaventura da Bagnoregio, arrivò a sequestrare i Cardinali nel Palazzo Vescovile, facendo murare tutte le uscite. Ricorderai, quei giorni successe di tutto. Il palazzo venne scoperchiato dal popolo inferocito. Così lì dentro vi poteva entrare il sole, ci poteva piovere, vi poteva affluire l’aria fredda. Ma soprattutto non c’era più “extraterritorialità”. Dall’esterno, la gente lanciava dentro frutta, pane e acqua. Due Cardinali si sentirono male. E malgrado tutto ciò, non vi fu nessun vertice, nessuna elezione. Fino a quando, come tutti sappiamo, il primo settembre dell’anno scorso, sei Cardinali non arrivarono ad eleggere addirittura un diacono, Tebaldo Visconti, a dispetto di Carlo D’Angiò.
TOMMASO: Fosse tutto lì! Invece, ho saputo che la questione si sta ulteriormente aggravando. Siamo a gennaio del 1272 ed ancora non abbiamo la possibilità di vedere all’opera questo papa. Tebaldo Visconti, infatti, che da tempo è partito per la Siria, a tutt’oggi si trova ancora a San Giovanni d’Acri. Quando sarà richiamato in patria per essere consacrato? O meglio, quando sarà richiamato in patria per essere ordinato almeno prete per poter essere poi consacrato papa? E quale nome assumerà? Con tali presupposti, questo nuovo papa, secondo me, non promette nulla di buono. Che sia benedetto quel brav’uomo di Papa Urbano IV! Lui sì che è stato un vero pontefice, un santo!
ALBERTO: Non devi dire questo. Egli, magari… chissà. (Pausa) Vedi, Tommaso, tu adesso, rispetto a me, sei ancora giovane, ma ti posso assicurare che presto anche tu giungerai alla consapevolezza che più o meno è così che va il mondo degli uomini! E da sempre, figliolo, credimi! Questo perché la nostra vita, di noi esseri umani, è nulla al cospetto della vita eterna. Tu ora penserai che il tuo vecchio maestro ti stia dicendo cose tristi, cose che angosciano. Ma non è così. Prendi, per favore, quella Bibbia lì sopra, (Indica un tavolo) che ti leggo qualcosa in proposito. Servirà certamente ad illuminarti.
TOMMASO: (Recupera la Bibbia e la porge ad Alberto)
ALBERTO (Prende la Bibbia, la apre) Allora, vediamo. (Sfoglia qualche pagina) Ah, ecco qui! (Legge) “Vanità delle vanità, tutto è Vanità”, ossia Hebel. (Volta una pagina) E qui. (Legge) “Tutto è vanità, e un inseguire il vento”. Ciò è quanto afferma Qohelet in un suo versetto. Quindi questa nostra vita peritura, transitoria, impermanente, assurda, vacua, vuota, vana, inconsistente, simile ad un soffio, al fumo, al vapore che si dissolve, costituisce il nulla, il non-senso. E ancora Qohelet in quest’altro passo continua: (Legge) “Tutti sono diretti verso la medesima Dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere”. Sheol, ossia la Dimora di cui si parla in questo versetto, è il luogo sotterraneo grigio dove i morti sono conservati nella loro forma spettrale, simili a larve. Per cui di fronte alla prospettiva della morte che, con una voracità insaziabile tutti divora, la ricchezza, il potere, il piacere, il lavoro, la ragione, la sapienza, la scienza, non sono altro che vanità. E se certe osservazioni vengono condivise da questo pulpito (Si batte una mano sul petto), puoi ben credergli!
TOMMASO: La sapienza? La scienza?
ALBERTO: Sì, anche la scienza. Ma ascoltami, vorrei concludere! Allora, stando a quanto asserisce Qohelet, sembrerebbe non dovremmo che accontentarci di ciò che Dio ci concede, inseguendo un po’ la logica del Carpe Diem suggerita secoli più tardi da Orazio. Invece non è questa la risposta all’interrogativo della vita! Perché anche ciò è vanità. Quindi per Qohelet non ci resta che una sola via d’uscita: credere in Dio, temerLo, seguire i Suoi Comandamenti e affidarsi a Lui.
TOMMASO: E se invece cercassimo razionalmente di conquistare poco a poco la Fede in Dio, inseguendo la scienza, la sapienza, come poi, in fondo, avete fatto voi che oggi siete ritenuto un uomo straordinario in ogni campo del sapere?
ALBERTO: Arriveresti alla stessa conclusione di Qohelet e quindi alla mia stessa conclusione, quella che ti ho appena illustrato. Ma constato con orgoglio e con piacere che l’allievo ancora una volta supera il maestro nel dibattito. L’ho sempre detto io che tu, da quel “bue muto” che eri un giorno saresti diventato uno che avrà da dire una infinità di cose al mondo. Ho saputo della tua eloquenza, dei tuoi successi all’Università di Parigi. Ma ricordo, già a suo tempo il nostro Maestro dell’Ordine che ti aveva appena accompagnato da Roma qui a Colonia, nell’assegnarti a me disse: “Tommaso è un giovane riservato e discreto, ma ricco di sapere e con le idee chiare, un vero uomo di fede, dalla fede profondamente radicata, in quanto frutto di una ricerca interiore ed esterna inimmaginabile”. Oggi devo dire, aveva ragione.
TOMMASO: Ma, Maestro, non è certo questo che desidero sentirmi dire da uno scolastico dotto come voi, da una persona illuminata come voi. Piuttosto del superamento dei dubbi, delle incertezze che, come me, credo affliggano ogni uomo a causa della sua insufficienza. Nella casa dove vivevo con gli altri giovani sacerdoti quando, da ragazzo, giunsi qui a Colonia, questo era il tema ricorrente delle nostre conversazioni. E poi, per quanto riguarda la mia, ormai nota, avara loquacità che ho sempre manifestato in passato, ciò era dovuta al fatto che, essendomi sempre trovato davanti ad un grande uomo come voi, mi sono talmente rallegrato d’aver ricevuto e di ricevere tutte le risposte alle mie domande, che ho giustamente preferito ascoltare per attingere il più possibile dalla vostra conoscenza. Insomma ho preferito ascoltare, essere assiduo nello studio e devoto nella preghiera, piuttosto che parlare.
ALBERTO: Ma tu non hai soltanto raccolto nella memoria ciò che oggi già trasfondi negli altri con la tua dottrina, tu vi hai aggiunto del tuo, come quando asserisci “Credo per capire, capisco per credere”. Ricorda che il discepolo è sempre sullo stesso piano del suo maestro; quando entrambi si consultano, si scambiano emozioni, amore, ma anche conoscenza, saggezza, sapienza (Esce)
TOMMASO: (Segue Alberto. Appare un’orchestrina che esegue un brano musicale).
(Scena tratta dal dramma teatrale “Alberto Magno e Tommaso D’Aquino” di Alberto Macchi, Roma 2004)