L’articolo è stato pubblicato sul numero 80 della Gazzetta Italia (maggio 2020)
Si stabilì stabilmente a Czarnolesie, nei suoi testi affermava la pace e la vita in campagna, lontano dal fascino cortese. Fu lì che prese la mano dell’amata moglie Dorota e portò in braccio quella che dovette seppellire così presto, la figlia Ursula. Uno degli autori che ci ha alimentato sul banco di scuola e non ci è venuto in mente di tornare da lui negli anni successivi. È un peccato, perché nel caso di Jan Kochanowski, il livello della sua innovatività e del suo universalismo non è notato da molti e l’episodio italiano della sua vita è spesso dimenticato. Forse perché nei suoi lavori ci ha lasciato pochi accenni del suo soggiorno a Padova. Questo significa, tuttavia, che si è trattato di un episodio non significativo della sua vita?
Kochanowski andò a Padova (o Pava, come la chiamavano allora i suoi abitanti) per studiare nel 1552, all’età di 22 anni. Non fu l’unico scrittore polacco ad essere attratto dalla Serenissima e dalla sua atmosfera di cultura e di libertà, non molto tempo prima che un’altra figura di spicco di quel periodo, Klemens Janicki, andasse a Padova. La fioritura dell’architettura, delle belle arti, la vicinanza di Venezia erano tutti quelli fattori che facevano di Padova un luogo perfetto per praticare l’arte e la cultura in senso lato. Sebbene la Repubblica di Venezia non si fosse ancora ripresa dalle guerre contro la Lega in Cambrai, e ancora serbasse una certa diffidenza verso gli stranieri, il nostro poeta, certamente, non poteva lamentarsi della mancanza di compagnia dei suoi connazionali. Lo dimostra l’esistenza di una misteriosa “accademia dei polacchi” padovana, le cui informazioni non sono state conservate praticamente in nessun documento, e la cui esistenza si apprende solo dalle citazioni nella corrispondenza dei suoi membri. Che cos’era esattamente? A tutt’oggi i ricercatori non sono riusciti a venirne a capo e possiamo solo immaginare che i padovani polacchi abbiano deciso di creare un circolo letterario e culturale, un tipo di organizzazione abbastanza di moda tra gli studenti in Italia.
In generale, il soggiorno di Kochanowski a Padova è avvolto da una nebbia di mistero e ci vuole davvero molta perspicacia e, soprattutto, pazienza per trovarne e interpretarne le tracce nell’opera del maestro. Perché scarseggiano i dettagli di quei pochi anni trascorsi a Padova, le impressioni su una delle più belle città italiane, non ha messo sulla carta la descrizione della Basilica di Sant’Antonio (che molto probabilmente era l’alloggio accademico dei suoi e di altri studenti polacchi)? Ci sono scritti sul periodo di studio di Kochanowski, di cui non conosciamo ancora l’esistenza? A queste domande è difficile rispondere. Possiamo solo affermare con certezza che è stato il tempo trascorso sul territorio di Najjaśnna che ha permesso a Kochanowski di ottenere una pace umanistica e dopo il ritorno in Polonia, seduto sotto il suo amato tiglio, Jan non ha certo dimenticato Padova. E anche Padova non ha dimenticato il poeta polacco. Lo testimonia il testo di Epitaphium Cretcovia, inciso sulla lapide di Erazm Kretkowski nella Basilica di Sant’Antonio. Kretkowski, voivode di Gniezno, morì a Padova nel 1558 e fu a lui che Kochanowski dedicò il suo testo più importante relativo al periodo padovano. Possiamo ancora oggi leggerlo visitando la Basilica, che era senza dubbio il cuore della città e che certamente non lasciò indifferente neanche Kochanowski.
tłumaczenie it: Gabriela Mirecka