Parole da buttare (seconda parte)

0
349

Prima parte: clicca qui

Torniamo a parlare delle parole da buttare, neologismi, espressioni e tormentoni che non piacciono, che “non si possono sentire” (altra bruttissima espressione, molto usata – pronunciata e scritta – negli ultimi tempi. Se non si può sentire, basta tapparsi le orecchie, no?).

  1. BELFIE

E dopo il selfie, non poteva  mancare il belfie, cioè l’autoscatto che immortala al posto del viso il “lato b”. Il neologismo si sente per la prima volta un paio di anni fa, viene pubblicato sulla copertina di una rivista americana, e nasce dalla moda (o mania) delle celebrities di fotografarsi i glutei e di postare le foto sui social network. Iniziatrice, a quanto pare, Kim Kardashian, presto seguita da attrici, modelle, cantanti, orgogliosissime di fotografare il corpo a pezzettini e di identificare la parte (il lato b) per il tutto. 

  1. COME DIRE

Gli intercalari (dal lat. intercalaris, che viene inserito in una serie) vengono inseriti qua e là, molto spesso in modo irriflesso, e caratterizzano il modo di parlare di ciascuno di noi. Non hanno nessuna funzione specifica, né trasmettono contenuti semantici. L’intercalare come dire, se usato in modo corretto, una tantum, quando non ci viene in mente una parola, è accettabile, perché questa è, appunto, la sua funzione, ma il suo uso continuo (o meglio, il suo abuso) è particolarmente fastidioso. Non va, quindi, usato, in frasi come “Sono abbastanza, come dire, preparato per rispondere”, ma va bene per recuperare una parola che abbiamo sulla punta della lingua, oppure, ovviamente,  quando non conosciamo la parola esatta. Umberto Santucci, esperto in comunicazione, ammette anche un’altra possibilità per l’uso di come dire, utilizzabile per virgolettare un concetto, come ad esempio nella frase: “Il tuo vestito è, come dire, quasi abbagliante”.

  1. TRA VIRGOLETTE

L’uso delle virgolette per prendere le distanze da una parola o da un’espressione può essere molto efficace, ma anche in questo caso non bisogna esagerare. Infatti spesso usiamo le virgolette, scrivendo ma anche parlando, per risparmiarci la fatica di trovare la parola giusta. In particolare alcuni giornalisti (pigri) abusano delle virgolette, finendo per scrivere articoli oscuri e approssimativi. Forse bisognerebbe ricordare loro che, alla lunga, usare troppo le virgolette non  è “bello”.

  1. ANCHE NO

Anche no è un’interiezione, cioè un’espressione “buttata in mezzo” al discorso (dal lat. interiectio «atto di gettare in mezzo»), una parte del discorso che si usa per esprimere emozioni o stati soggettivi del parlante ed è priva di legami sintattici con le altre parti della frase. L’espressione anche no si sente sempre più spesso, ripetuta da comici (la Gialappa’s in primis), politici, giornalisti e viene usata per rispondere a proposte poco allettanti. Con questa espressione vogliamo esprimere un rifiuto attenuato, vogliamo dire che “possiamo farne anche a meno”. Assolutamente no (v. Angolo linguistico nel numero precedente di Gazzetta Italia) esprime, invece, un rifiuto netto e ha lo stesso valore di espressioni iperboliche come neanche per idea, neanche per sogno, nelle quali compare la congiunzione neanche, che altro non è che la fusione di né e anche, che ha una struttura simmetrica rispetto ad anche no.

Anche no è presente nel titolo e nel testo di alcune canzoni: Anche no di Povia del 2012 (la canzone si conclude poi con l’espressione anche sì, con il significato di perché no, ma non è così popolare come anche no) e Anche no del rapper Rayden (alias Marco Richetto) del 2009.

Variante di anche no è ma anche no, espressione nella quale il ma mantiene il suo valore avversativo, a un’affermazione segue una parziale rettifica, come ad esempio nel titolo “L’Italia fuori dal G8? Ma anche no!” («Forexinfo.it», 23/10/2013).

Ma anche no è stato il titolo di un programma televisivo domenicale andato in onda per pochi mesi su La7 e condotto da Antonello Piroso, dimostrazione ulteriore di come le mode e i tic linguistici vengano prevalentemente diffusi dalla televisione.

Insomma, visto che non abbiamo il coraggio di dire un no secco, ricorriamo all’attenuazione fornita dall’anche anteposto; un semplice sì non ci sembra più sufficiente e allora ricorriamo all’esagerazione dell’assolutamente (v. Angolo linguistico nel numero precedente di Gazzetta Italia)

Vista la stretta correlazione tra mass media e diffusione di neologismi, tormentoni e mode linguistiche, quasi tutte le parole che adesso vorremmo buttare vengono dalla stampa o dalla televisione, trasmesse da «chi per mestiere dovrebbe dar prova di una rigorosa competenza linguistica» (Diego Marani, Il Sole 24 ore), ma anche no! ☺