Avevo una vita davvero felice, ma c’erano anche molte morti e parecchi dubbi. Comunque io non parlo mai di questioni personali e non vorrei che altri ne parlassero (…) A. Bikont, J. Szczęsna, “Pamiątkowe rupiecie, przyjaciele i sny Wisławy Szymborskiej” (1997)
Wisława Szymborska, nata nel 1923 a Prowent (Grudziądz), premio Nobel per la letteratura nel 1996, è stata probabilmente la più grande poetessa polacca. Szymborska è stata una straordinaria intellettuale, che ha lavorato anche come editorialista e critico letterario. Ha legato tutta la sua vita a Cracovia, dove è morta nel 2012.
Subito dopo la seconda guerra mondiale ha iniziato a studiare filologia polacca presso l’Università Jagellonica di Cracovia, che ha però abbandonato poco dopo per concentrarsi sulla sociologia. I suoi primi esiti poetici sono legati al rapporto con le autorità comuniste e al cosiddetto realismo sociale. In seguito Szymborska ha rinnegato quel periodo, sostenendo che il suo “vero” debutto letterario fosse avvenuto con la pubblicazione nel 1957 del volume “Wołanie do Yeti” (Appello allo Yeti).
Nonostante abbracci quasi sette decenni, il patrimonio poetico di Szymborska non è ampio, ma è stilisticamente molto omogeneo. La poetessa è considerata l’ideatrice di alcune nuove forme poetiche, tutte umoristiche nella loro espressione. Szymborska scriveva poco e questa moderazione le ha permesso di trovare tempo ed energia per elaborare i singoli pezzi in maniera raffinata, quasi scolpendone la forma. I risultati sono straordinari, perché dalla sua penna sono derivati piccoli capolavori letterari.
Szymborska ha affrontato importanti questioni filosofiche: ha analizzato la natura umana e la solitudine dell’uomo nell’universo, servendosi di un linguaggio semplice, che scioglie e smonta con ironia espressioni fraseologiche consolidate e frasi fatte comuni. La sua originalità artistica è combinata con la semplicità del linguaggio: si è servita di un vocabolario comune, non troppo sofisticato. Una caratteristica della sua poesia è l’uso innovativo della fraseologia popolare, che ha reso difficile la traduzione delle sue opere in altre lingue. Esempi di queste raccolte sono i volumi “Sto pociech” (Uno spasso) e “Wszelki wypadek” (Ogni caso). Attraverso il metodo dei cosiddetti “specchi doppi”, la poetessa ha cercato di mostrare la realtà nella sua molteplicità. Le sue poesie riflettono la complessità del mondo e il fatto che la nostra vita sia allo stesso tempo tragica e divertente, sublime e ordinaria. Ecco perché le opere di Szymborska sono perverse, stizzose, spesso basate sul principio del contrasto, su una giustapposizione di valori contraddittori.
La sua poesia è certamente intellettuale, ricca di motivi culturali e di riferimenti alla storia. Anche se di natura riflessiva, di solito non mostra emozioni ed è inutile cercarvi confessioni o memorie personali. Szymborska non ha una missione moralizzatrice: l’apparente ordinarietà del mondo è il più grande mistero che la incuriosisce. Dalle poesie emerge la convinzione che la nostra conoscenza sia principalmente – e paradossalmente – basata sulla realizzazione della nostra ignoranza, sul desiderio e l’impossibilità di accogliere e capire i paradossi dell’esistenza.
Nella vita di tutti i giorni non amava parlare di letteratura e raccontare i segreti della sua maestria poetica, perché partiva dal presupposto che ogni autore dovrebbe comunicare solo tramite le sue opere. Il senso dell’umorismo che emana dai testi di Szymborska la accompagnava ogni giorno. Il suo spirito giocoso si manifestava in piccole cose: l’autrice era conosciuta per gli scherzi che faceva, che volevano deridere la realtà in maniera intelligentemente kitsch. Agli amici regalava pagine di collage spiritosi con estratti delle proprie opere.
L’ambiente più vicino ricorda Wisława Szymborska come una persona modesta che apprezzava molto la pace. Non sopportava feste, celebrazioni e onorificenze. Quando le è arrivato l’annuncio della vittoria del Premio Nobel per la letteratura e ha dovuto concedere in un solo mese più interviste che in tutta la sua vita, l’autrice l’ha definita “la tragedia di Stoccolma”. Era una donna piena di sorprese: adorava il famoso pugile polacco Andrzej Gołota, fumava come una turca (scriveva solo con una sigaretta in mano!) e andava pazza per le alette impanate della catena di fast food KFC. La stimava tantissimo anche il celebre regista americano Woody Allen. Questi diceva che Szymborska era in grado di catturare gli attimi più commoventi e tutta la tristezza della vita, rimanendo al tempo stesso ottimista.