In questi ultimi giorni sui quotidiani di tutto il mondo sono apparsi molti articoli riguardo alla Polonia e alla proposta di legge chiamata colloquialmente “Ustawa o IPN” che, passata prima alla Camera e poi al Senato polacchi, oggi ha ottenuto anche la firma del presidente della Repubblica Andrzej Duda (il quale, però, ha deciso di inviarla alla Consulta per una verifica). I media italiani scrivono di una controversa legge in cui si possono condannare fino a tre anni le persone che attribuiscono allo Stato polacco corresponsabilità nell’Olocausto o per chi all’espressione “campi di concentramento” aggiunga la parola “polacchi”, trasformandola così in un’affermazione fuorviante e ignobile.
Le proteste da parte di Israele sono state immediate in quanto, secondo i rappresentanti del loro governo, si tratta della negazione della Shoah. Infatti, le autorità israeliane vedono nella legge il tentativo del governo di Varsavia di negare le corresponsabilità di una parte del popolo polacco nello sterminio e, al tempo stesso, di limitare la libertà di espressione; per questo hanno chiesto alla Polonia di ritirare subito la legge. Perplessità sono state espresse anche dagli Stati Uniti.
Cosa esattamente afferma questa norma? si tratta di un emendamento riguardante la legge sulle attività svolte dall’IPN, l’Istituto della Memoria Nazionale. Più precisamente riguarda l’articolo 55a che prevede la possibilità di punire tramite sanzioni, tradotte in una multa oppure fino a tre anni di carcere “chi pubblicamente e contro i fatti attribuisce al Popolo Polacco e allo Stato Polacco la responsabilità o la corresponsabilità dei crimini nazisti commessi dal III Reich tedesco specificati nell’articolo 6 della Carta del Tribunale Militare Internazionale allegata all’Accordo internazionale riguardante la ricerca e la condanna dei principali criminali di guerra dell’Asse, firmato a Londra in data 8 agosto 1945 (Dz. U. z 1947 r. poz. 367), oppure per altri reati che costituiscono crimini contro l’umanità e la pace o ancora crimini di guerra, o in un altro modo grave riduce le reali responsabilità dei colpevoli di questi crimini”.
Lo scalpore suscitato dalla votazione di questo emendamento è stato così forte che il primo di febbraio il premier polacco Mateusz Morawiecki è intervenuto con un discorso, successivamente pubblicato anche in lingua inglese per chiarire la posizione del governo. In tale discorso il giovane primo ministro, fresco di nomina (avvenuta nella prima metà dello scorso dicembre), afferma in modo deciso che i polacchi sono stati vittime dell’aggressione del Reich e che molti di loro, insieme a persone di molte altre nazionalità, hanno condiviso il tragico destino dei campi. Il capo del governo ha continuato affermando che “i campi in cui furono uccise milioni di persone non erano polacchi e che questa verità deve essere difesa perché essa è parte della verità sull’Olocausto”. Egli ha inoltre aggiunto che da sempre i polacchi si impegnano nella cura e nel mantenimento dei campi rimasti sul territorio oggi polacco, luoghi che ricordano chi vi ha perso la vita, ma che sono anche un insegnamento per chi oggi vive.
“La Polonia sta dalla parte della verità” ha ribadito il capo del governo. Citando gli eroi Pilecki, Karski, l’organizzazione Żegota e la resistenza polacca il premier ha comunque teso la mano a Israele, affermando che la cultura ebraica è un elemento importante della cultura polacca, ma che il compito di mantenere viva la memoria non spetta solo a Israele, bensì anche alla Polonia. Negli ultimi giorni con una lettera aperta è intervenuta anche l’Ambasciata Polacca a Roma: in essa si esprime sconcerto sui commenti della stampa italiana sulla legge riguardante l’Istituto della Memoria Nazionale appena approvata. In effetti, la faccenda, forse gestita in modo non ottimale, ha portato a un’interpretazione troppo estrema del testo. Oltre a sottolineare l’impegno dei polacchi nel preservare il campo di Auschwitz viene ribadito che “quando la Polonia si trovò sotto l’occupazione tedesca, nessuno, mai, agendo a nome della Polonia e del popolo polacco ha collaborato con i nazisti. Anche se ci furono casi di singoli individui che collaboravano con i tedeschi, non si può accusare lo stato polacco di essere corresponsabile dell’Olocausto”.
Se si legge con attenzione l’articolo 55a si nota che esso riporta le espressioni: “il Popolo polacco”, lo “Stato polacco”. Dopo l’invasione della Polonia del 1939 e la sua capitolazione, l’entità statale polacca aveva totalmente cessato di esistere; autorità ed esercito erano stati sciolti, mentre molti polacchi si organizzavano in clandestinità, dando vita alla resistenza. Una situazione, dunque, diversa da paesi come Ungheria, Slovacchia, Italia, dove, sebbene chiaramente non tutti fossero a favore dei rispettivi regimi fascisti, esistevano autorità militari, eserciti, forze dell’ordine e apparati burocratici che commettevano crimini e contribuivano sistematicamente allo sterminio. Anche in Polonia hanno avuto luogo crimini contro la popolazione ebraica, questo non si può e non lo si deve mai negare, ma non si può certo parlare della partecipazione di un apparato statale o della maggior parte del popolo, quando, tra l’altro, il 25% di coloro che sono stati dichiarati giusti tra le Nazioni del mondo sono proprio polacchi. Invece, dopo la firma del presidente, molti siti d’informazione italiani già scrivono sentenze del tipo “questa legge impedisce di parlare di qualsiasi caso di complicità di cittadini o di gruppi polacchi nell’Olocausto”. Nulla di più falso. Si vuole combattere l’errata accusa verso un popolo o uno Stato, in quanto non vi fu da parte polacca un modus operandi sistematico.
Alcuni temono che la legge possa limitare la libertà di stampa, altri che sia male costruita e quindi difficilmente applicabile: essa, infatti, oltre a voler rivolgersi anche a cittadini non polacchi, esime dalle accuse gli ambiti di ricerca scientifici e artistici, concetti dai confini non ben definiti.
Il presidente della Repubblica ha compiuto l’unica mossa che poteva fare: firmare e, in quanto egli stesso avvocato, mandare l’emendamento alla Consulta per una verifica. Un eventuale veto avrebbe provocato ulteriori polemiche.
È pur vero che la Polonia ha un governo conservatore che fa spesso leva sulle emozioni di parte del suo popolo, fatto che ha creato timore e perplessità nel resto d’Europa, ma in questa situazione l’esecutivo si stava occupando – tra l’altro da molto tempo – di un problema, quello dell’infelice e ignobile espressione “campi polacchi” in riferimento ai lager nazisti che, come afferma il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, è una “terribile diffamazione” che “nuoce agli interessi e al buon nome della Polonia”. La questione spinosa, come ribadisce lo stesso Tusk, resta soprattutto quella della gestione della tematica, del tatto che una scelta del genere impone nel rispetto dei milioni di morti che quella tragedia ha comportato, mentre sull’emendamento si sono creati inutili miti e incomprensioni.