Alla scoperta della Varsavia italiana

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La capitale della Polonia sta vivendo una rapida, non sempre urbanisticamente coerente, trasformazione architettonica che è l’espressione estetica del tumultuoso sviluppo economico degli ultimi 15 anni. Una crescita verticale fatta di grattacieli americaneggianti che sembra esprimere il desiderio inconscio di lasciarsi velocemente alle spalle 40 anni di socialismo reale contrassegnato da architetture piatte e ripetitive, edifici che teoricamente dovevano esprimere, secondo i canoni dell’epoca, la concezione filosofica d’avvicinare l’architettura, come ogni altra espressione estetica, alla cultura delle classi popolari celebrando il progresso socialista. Un progetto i cui esiti in realtà, come in tante altre città socialiste, fu quello di riempire la capitale polacca di enormi quartieri di palazzoni architettonicamente tristi e ripetitivi, seppur inseriti in discreti piani urbanistici che prevedevano per ogni area i servizi necessari alla vita quotidiana.

Il contrasto tra la corsa alla modernità e l’impianto socialista della città è oggi sicuramente l’aspetto più immediato che coglie il visitatore che sceglie di passare qualche giorno a Varsavia. Ma la capitale polacca, dolcemente adagiata sulle rive della Vistola, al visitatore attento è in grado di mostrare le tracce di una lunga e significativa presenza italiana.

Per circa 4 secoli, più o meno dalla fine del 1400 al 1800, l’intervento di architetti, artisti e manovalanze italiane, soprattutto nell’edilizia, fu fortissimo e quasi tutte le città polacche hanno costruzioni firmate da nomi italiani. Varsavia non è certo da meno ed è contrassegnata da numerosi lasciti italiani, tra questi ne segnaliamo tre assolutamente imperdibili. Il Teatro Grande “Teatr Wielki, Opera Narodowa”, dotato di uno dei più grandi palcoscenici del mondo, porta la firma di Antonio Corazzi (nato a Livorno nel 1792 e morto a Firenze 1877) architetto che passò gran parte della sua vita a Varsavia disegnando moltissimi palazzi di famiglie nobili oltre a edifici pubblici. Lo splendido Teatr Wielki, ricostruito dopo la Seconda Guerra Mondiale, mostra oggi, parzialmente restaurata, l’imponente facciata neoclassica disegnata dall’architetto italiano. Un progetto ancora più importante lo realizzò Domenico Merlini (Castello di Valsolda 1730 – Varsavia 1797), autore di innumerevoli palazzi e residenze a Varsavia ma diventato famoso per i polacchi soprattutto per essere l’autore dello splendido Parco Łazienki nello stile tipico della Varsavia dell’era del re Stanislao Augusto Poniatowski, quello che si chiamò classicismo polacco. Un parco che oggi è meta imperdibile per qualsiasi visitatore!

Il terzo simbolo di italianità che vi proponiamo è il Barbacane della città vecchia, ovvero del centro storico di Varsavia. Un manufatto militaresco di difesa dell’antico nucleo della Varsavia medioevale, una struttura difensiva a pianta semicircolare, che proteggeva l’accesso alla Città Vecchia (Stare Miasto), dalla parte della Città Nuova (Nowego Miasto). Per ogni visitatore questo è un luogo simbolo nella visita della città ma sono pochissimi in realtà quelli che approfondiscono la storia di questa costruzione eretta nel lontano 1548 su progetto di Giovanni Battista Veneziano, uno dei tantissimi architetti italiani giunti in Polonia al seguito di Bona Sforza, la famosa italiana che divenne regina di Polonia e che diede un enorme contributo allo sviluppo delle relazioni italo-polacche declinate sotto molti aspetti dall’architettura alla cucina. Le realizzazioni di Corazzi, Merlini e Giovanni Battista il Veneziano sono oggi alcuni dei luoghi simbolo di una visita a Varsavia e lo spunto per scoprire i molti altri punti della città segnati dalla intensa presenza italiana sulle rive della Vistola.