Cade in questi giorni il secondo anniversario delle elezioni politiche del novembre 2015 che hanno visto il PiS (Prawo i Sprawiedliwość, tradotto in italiano in Diritto e Giustizia) imporsi come partito di maggioranza all’interno del Parlamento polacco. L’affermazione di questo partito appartenente alla destra conservatrice ed euroscettica si è accompagnata al declino del più moderato PO (Platforma Obywatelska, tradotto in italiano in Piattaforma Civica), che dal 2007 aveva dominato la politica nazionale – in coalizione con il Partito Popolare Polacco – sotto la leadership di Donald Tusk, divenuto Presidente del Consiglio Europeo sul finire del 2014. La vittoria del PiS ha segnato una battuta d’arresto degli anni di entusiasmo europeo marcati dall’ingresso della Polonia nell’UE, avvenuto il 1° maggio 2004 insieme ad altri nove paesi.
La retorica nazionalista e le riforme del governo guidato dalla Premier Beata Szydło con la supervisione di Jarosław Kaczyński, presidente del PiS e ritenuto dai più il reale detentore del potere in Polonia, hanno creato una continua tensione tra Varsavia e Bruxelles, culminata negli ultimi mesi con il progetto di legge approvato in Parlamento a inizio estate con l’obiettivo di riformare il sistema giudiziario. La proposta del PiS, giustificata con l’intenzione di migliorare un sistema lento e inefficiente, prevedeva di modificare la composizione della Corte Suprema, del Consiglio Nazionale della Magistratura e dei tribunali ordinari con dei provvedimenti che avrebbero condotto al prepensionamento forzato dei giudici e avrebbero incaricato il Ministro della Giustizia della scelta dei nuovi membri. I rischi per l’indipendenza della magistratura, per la separazione dei poteri e per il rispetto dello stato di diritto hanno indotto lo scorso luglio migliaia di persone a scendere in piazza e manifestare contro il governo. La voce della società civile e i rimproveri delle istituzioni europee non sono rimasti inascoltati e il Presidente della Repubblica Andrzej Duda – anch’egli proveniente dalle fila del PiS – ha posto il veto alle due leggi su Corte Suprema e Consiglio Nazionale della Magistratura, mentre ha approvato quella sui tribunali ordinari.
Negli ultimi due mesi il Presidente Duda ha presentato un suo progetto per la riforma del sistema giudiziario, che dovrà essere discusso in Parlamento, ma il braccio di ferro con Bruxelles non si è esaurito e la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro Varsavia per l’approvazione della legge sui tribunali ordinari. Oltre alle differenze di opinione sul rispetto dello stato di diritto, la partita tra le istituzioni europee e il governo polacco si gioca sulla ricollocazione dei migranti (che la Polonia ha rifiutato), l’abbattimento degli alberi nell’antica Foresta di Białowieża, i salari dei lavoratori distaccati e altre questioni ancora. L’ultima stoccata in ordine di tempo arriva dal documento approvato mercoledì 15 novembre dal Parlamento europeo, che ha chiesto al Consiglio dell’UE di attivare l’articolo 7 dei Trattati, affermando che “in Polonia i valori fondamentali europei sono a rischio”. Se l’articolo 7 fosse attivato, la Polonia andrebbe incontro a sanzioni, come la sospensione del diritto di voto in Consiglio. Questo scenario non sembra molto probabile dato che il voto richiede l’unanimità e l’Ungheria ha già fatto sapere che non si allineerà alle richieste di Bruxelles, ma l’intera vicenda riflette il disagio europeo nei confronti della politica dell’attuale governo di Varsavia.
La tensione con le istituzioni europee non ha comunque intaccato il sostegno di quella parte dell’elettorato che vede di buon occhio il governo PiS: un sondaggio IBRiS dell’8 novembre ha confermato che il principale partito del paese gode dell’approvazione del 37% dell’opinione pubblica, staccando di quasi venti punti percentuali le preferenze per Piattaforma Civica.
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