“L’immagine comunica alle persone di ogni parte del mondo, indipendentemente dalla lingua in cui parlano.”
Gli italiani presentati nelle fotografie di Grzegorz Lityński sono dei professionisti pieni di carisma, lontani dagli stereotipati modelli di donnaioli spensierati, i quali nella vita sanno fare bene solamente la pizza. Sugli italiani, per i quali la Polonia è diventata una seconda patria, sulla forza della fotografia e sul motivo per cui è necessario combattere gli stereotipi ho parlato con Grzegorz Lityński, fotografo di Breslavia che nel suo progetto “Caleidoscopio italiano” confuta i luoghi comuni sugli italiani.
“Caleidoscopio italiano” è un progetto fotografico contro gli stereotipi. Come è nata questa idea?
Per 14 anni ho vissuto all’estero e so per esperienza personale quanto ingiusti possano essere i pregiudizi. Il periodo in cui ho vissuto all’estero mi ha reso più sensibile agli stereotipi, soprattutto quegli etnici. A luglio del 2014 a Breslavia è stato creato uno spot pubblicitario, il cui protagonista era un italiano che decide di partire per Breslavia, “perché ci sono delle belle donne.” Le scene successive mostrano il protagonista mentre abbraccia delle belle donne polacche, tutti in posa per la foto. Lo spot è stato la pubblicità … della Capitale Europea della Cultura. La pubblicità ha scatenato delle violente discussioni, “Gazeta Wyborcza” ha scritto addirittura della “Capitale Europea del Sessismo.” Al Consolato Onorario della Repubblica Italiana a Breslavia i telefoni non smettevano di suonare. Gli italiani non volevano essere presentati come donnaioli spensierati, e le polacche come “una preda facile”. Dopo alcune ore, lo spot è stato cancellato dalla rete, però la sensazione di imbarazzo è rimasta.
Quel giorno mi sono incontrato con la signora Monika Kwiatosz, Console Onorario d’Italia a Breslavia. Abbiamo discusso della necessità di agire, ma non tramite le proteste “ufficiali” perché dalla nostra esperienza sapevamo che in questo modo non avremmo ottenuto nessun risultato. Abbiamo deciso invece di creare un progetto che avrebbe mostrato gli italiani da un altro lato, non stereotipato, ovvero gli italiani laboriosi, energici, creativi, pieni di passione e hobby. Un mese dopo, è stato fatto il primo reportage fotografico sulla vita di Roberto, un gommista italiano di Breslavia. Poi abbiamo ampliato il progetto a tutto il paese.
Quale è, secondo Lei, la forza dell’immagine fotografica, è possibile confutare alcuni stereotipi tramite le immagini?
Si dice che un’immagine vale di più di 1000 parole. Oggigiorno, nei tempi di internet, social media, youtube, l’immagine ha un potere particolarmente forte. Viviamo in una cultura dominata dall’immagine, al punto che, cercando di provare alcune affermazioni, per esempio di smentire un certo stereotipo, diventiamo addirittura inattendibili se non riusciamo ad illustrare le nostre ragioni. Però la fotografia è sempre stata un potente mezzo di trasmissione. L’immagine può infatti comunicare alle persone in tutto il mondo, indipendentemente dalla lingua in cui parlano. Mi permetto di ricordare una fotografia scattata in Vietnam che mostra una ragazza ustionata con il napalm (Nick Ut, 1972). Oppure un’immagine del Sudan che mostra un bambino quasi morto nel deserto, dietro il quale si apposta un avvoltoio (Kevin Carter, 1983). Questi sono gli esempi di fotografie che hanno saputo comunicare a miliardi di persone, provocando discussioni, reazioni dei governi e anche proteste di strada.
Certo nel caso di avvenimenti drammatici come la guerra, la fame, le tragedie è più facile scattare la cosiddetta fotografia scioccante. Mentre, è molto più difficile convincere milioni di persone a cambiare radicalmente i loro pregiudizi, per esempio sappiamo bene quanto sia difficile combattere contro i cosiddetti “Polish jokes” sui polacchi, molto popolari negli Stati Uniti.
Il “Caleidoscopio” porta gli spettatori in un mondo a cui quotidianamente non hanno accesso. Una scoperta visuale della complessità dell’immigrazione italiana in Polonia, della loro passione, della loro energia e creatività che vuole contribuire alla lotta contro i pregiudizi. Ogni italiano da me fotografato rappresenta una personalità unica, così come unica è la composizione in un caleidoscopio. Non è possibile chiudere i protagonisti dei miei reportage fotografici in uno schema semplice. Qui non c’è posto per gli stereotipi.
I protagonisti del “Caleidoscopio italiano” sono professionisti che rappresentano ambienti completamente diversi, quali criteri ha seguito nel scegliere chi fotografare?
L’obiettivo del progetto ha imposto piuttosto la ricerca di persone non banali, il che ci ha costretti a cercare persone che rappresentano diverse professioni e provengono da ambienti diversi.
La diversità dei mestieri fin dall’inizio era molto importante, perché un italiano è stereotipato come “sa solamente fare bene la pizza e nient’altro”. Per questo il “Caleidoscopio” presenta i rappresentanti di una vasta gamma di professioni: bioenergoterapista, giornalista, parrucchiere, restauratore, montatore delle attrezzature pneumatiche, assistente alle donne in gravidanza, poeta, protesista, apicoltore, guida turistica, strongman, terapista, allenatore, veterinario, proprietario di una concessionaria di auto e altri. Ho deciso di mostrare gli italiani che vivono in Polonia da almeno 5 anni. Un criterio importante è stato anche il loro livello di integrazione con la società polacca.
Pensa d’essere riuscito a smentire qualche stereotipo?
Gli stereotipi sono in crescita da anni, e poi vengono anche rafforzati dalla letteratura, dalle pubblicità, dai mass media, in altre parole vengono trasmesse di generazione in generazione. La moltitudine di pregiudizi e il loro radicamento spesso plurisecolare, determinano la complessità del fenomeno e la difficoltà della lotta contro di esso. L’eliminazione degli stereotipi è un processo lungo. “Caleidoscopio italiano” è un tentativo di rompere lo schema-stereotipo, ma l’efficacia del messaggio dipenderà fortemente da quanto riusciremo a raggiungere l’attenzione di un vasto pubblico per poter pienamente sfruttare il potenziale narrativo del progetto. Nemmeno il miglior reportage fotografico può funzionare se sarà noto solamente ad un pubblico ristretto. Al momento sto lavorando per raggiungere il maggior numero di persone attraverso le mostre o la pubblicazione degli album. Purtroppo non è semplice. Il denaro, compresi i fondi pubblici, spesso viene speso in modo assurdo. Un triste esempio di questa affermazione è la pubblicità, menzionata prima, della Capitale Europea della Cultura, per la quale sono state spese alcune decine di migliaia di zloty. Soldi che meglio sarebbero stati investiti in progetti contro i pregiudizi etnici. Purtroppo, questa è una triste verità, non uno stereotipo.