Polonia, carta vincente delle imprese

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Che l’Italia avesse una proiezione forte sulla Polonia e che quest’ultima avesse l’interesse a calamitare capitali italiani era noto. Ma mancavano ancora numeri chiari e sicuri, se possibile chirurgici. La lacuna è stata colmata dalla società di consulenza Kpmg, che in collaborazione con l’ambasciata italiana a Varsavia ha appena diffuso un’ampia ricerca sullo stato dei rapporti economici tra i due paesi. S’intitola Direzione sviluppo! Cooperazione economico e commerciale tra Polonia e Italia.

Ma veniamo ai numeri. La ricerca di Kpmg evidenza i seguenti dati.

– Sono 1300 le aziende a capitale italiano presenti in Polonia (dato 2013)

– Nel settore automotive sono impegnate all’incirca venti imprese, Fiat in testa. Danno lavoro a 15mila persone, che rappresentano il 17% dei lavoratori impiegati dalle aziende a capitale italiano.

– La moda, anche in Polonia, è un pilastro italiano. Il 22% dei marchi di lusso sul mercato polacco sono prodotti da aziende del nostro paese.

– Quanto all’export, l’Italia è il quarto fornitori di merci della Polonia, che a sua volta è il quinto esportatore in Italia. La bilancia pende a favore di Roma, che a livello di investimenti in Polonia si colloca al sesto posto.

– Molto interessanti le impressioni degli imprenditori italiani che operano a Varsavia e negli altri distretti del paese. La Polonia viene considerata il paese più attrattivo dell’Europa centrale. Il 57% delle nostre imprese ha reinvestito nel paese e il 60% progetta di fare investimenti da qui ai prossimi tre anni.

Potremmo chiudere qui, ma è il caso di soffermarsi su un paio di passaggi. Il primo riguarda le considerazioni di Luigi Lovaglio, presidente di Pekao, la controllata di Unicredit in Polonia. Lovaglio registra che nel paese è diffusa l’idea che non si possa più basare la competitività esclusivamente sul vantaggio del costo del lavoro, “poiché tale vantaggio prima o poi scomparirà”. Il tema è già stato sollevato tante volte, anche da Rassegna Est, nel tentativo di spiegare non solo che se un’azienda dovesse solamente guardare ai costi del lavoro non investirebbe in Polonia, ma in Moldova, Serbia o Albania, ma anche di rimarcare come le autorità polacche, conscie dell’erosione progressiva di questo vantaggio di costo, stiano cercando di investire sempre di più sui fattori competitivi altri rispetto a quello, appunto, dei costi di produzione.

L’altro passaggio è relativo alle parole di Matteo Marchisio, country manager di Manuli, colosso delle soluzioni idrauliche. Il dirigente afferma che “tra gli investitori in Polonia crescono anche i timori legati allo spopolamento del paese. Da anni la Polonia deve far fronte a una catastrofe demografica: essa costituisce un rischio per la sua attrattività per gli investimenti e anche, nel lungo periodo, per i consumi nel paese”. E anche questo è un punto che non va assolutamente trascurato. Sia perché come ricorda Marchisio pone problemi di prospettiva; sia perché rammenta che la Polonia, anche ai tempi della crescita, anche nel periodo forse migliore della sua storia, è ancora terra d’emigrazione.