Nei propositi del mondo politico polacco, lo shale gas doveva rappresentare una vera e propria rivoluzione, in grado di garantire in tempi rapidi la tanto agognata indipendenza energetica. Ma, nonostante la presenza di ingenti riserve di gas da scisto, gli ultimi anni sono stati un susseguirsi di difficoltà, proteste e ripensamenti. E il tanto decantato boom dello shale rischia di risolversi in una bolla di sapone.
È quanto emerge da una lunga analisi pubblicata ieri dal quotidiano britannico Guardian, che fa un bilancio complessivo delle vicende. Stando a uno studio pubblicato a marzo 2012, che sarà presto aggiornato, le riserve del Paese sono comprese tra i 346 miliardi e i 768 miliardi di metri cubi: si tratta quindi del terzo Paese più ricco di tali risorse nel Continente. Già nel 2011 l’allora presidente Donald Tusk aveva promesso di avviare le estrazioni commerciali entro il 2014, ponendosi l’ambizioso obiettivo di svincolarsi dalla Russia per l’approvvigionamento energetico.
Ma le cose sono andate diversamente: i primi test non hanno restituito i risultati sperati, una serie di problemi burocratici hanno rallentato le operazioni, sette delle 11 multinazionali che avevano investito in Polonia si sono già tirate indietro e gli operatori si sono trovati a fare i conti con le proteste della popolazione. Il caso più eclatante è stato quello di Chevron, che a luglio ha abbandonato i propri piani di estrazione a Zurawlow, dopo un’accanita battaglia di quattrocento giorni con la comunità locale. In sostanza, lo shale si sarebbe rivelato un “disastro”, stando alle parole che – secondo alcune indiscrezioni non confermate – avrebbero pronunciato, in privato, alcuni esponenti delle autorità.
Autore: Valentina Neri
Foto: Karol Karolus
Fonte: Wikimedia Commons
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