(articolo realizzato in collaborazione con il Consorzio Promovetro Murano, fot. Luisa Menazzi Moretti)
È sempre affascinante ricercare gli intrecci che nei secoli hanno costruito la ricca cultura europea. Tra questi spesso molto interessanti si rivelano i contatti che legano la penisola italiana alla Polonia.
Nella laguna nord di Venezia c’è l’isola di Murano, universalmente nota per la sua antica pregiatissima produzione artistica vetraria. Durante la saggia amministrazione della Serenissima Repubblica di Venezia ogni luogo e, soprattutto, ogni mestiere, era organizzato all’interno di precise regole, e così fu anche per l’arte del vetro.
La prima fonte certa relativa al vetro veneziano è un documento del 982, in cui, per la prima volta, si cita il nome di un vetraio attivo a Venezia, data sulla base della quale possiamo affermare che l’arte del vetro veneziana, tuttora fiorente, ha più di mille anni. Già dal XIII secolo i vetrai, la cui produzione con forni molto caldi era abbastanza pericolosa in un’epoca in cui si utilizzava moltissimo legno per le costruzioni, risultano riuniti a Murano, in quella che possiamo immaginare come una sorta di zona industriale ante tempore. Una localizzazione e concentrazione nell’isola avvenuta quasi spontaneamente e poi sancita ufficialmente dalla Repubblica di Venezia con un atto del 1291, in cui si decretava la distruzione delle vetrerie presenti nella città di Venezia. Da allora ad oggi Murano è simbolo e sinonimo di arte vetraria sopraffina. Il valore aggiunto fu la qualità delle produzioni, non certo la presenza delle materie prime, visto che Venezia e Murano hanno sempre dovuto importare le sabbie silicee vetrificanti, la soda fondente e perfino la legna usata fino a metà del Novecento come combustibile. La ricchezza del vetro di Murano furono, e sono tuttora, gli uomini: maestri, esperti tecnici e compositori, che hanno sviluppato un’abilità unica nella modellazione del vetro incandescente. Maestri che fin dal Rinascimento, pur con le restrizioni imposte dalla Serenissima, hanno fatto conoscere il know-how veneziano. Oggetti, collane, bicchieri, e poi l’invenzione nel 1450 del cristallo fecero del vetro di Murano un prodotto richiesto dalle più elevate classi sociali europee del tempo. La produzione vetraria si evolse seguendo il gusto e le mode delle diverse epoche; nel Settecento, ad esempio, si caratterizzò per gli eccezionali lampadari, i centritavola figurativi e i lattimi (composizione vetrosa a base di silicati, stagno e piombo, che conferiva al vetro un aspetto bianco latteo) decorati a smalto. Ed è in quest’epoca che il nome ‘Murano’, già noto tra i nobili polacchi, entra e, curiosamente, si stabilizza nella toponomastica di Varsavia grazie ad un architetto lombardo.
Giuseppe Simone Bellotti, di luogo e data di nascita incerta ma che sappiamo morì a Varsavia nel 1708, appartiene alla schiera di architetti e capomastri provenienti dall’area comasca della Valsolda, chiamati anche “mastri comacini”, che lavorarono in Polonia dal sec. XVI a tutto il XVIII. Il Bellotti, che sposò la polacca Marianna Olewicka, lavorò durante i regni di Micha? Korybut Wi?niowiecki e di Jan III Sobieski. Le opere più importanti del Bellotti furono il progetto del corpo centrale della Chiesa di Santa Croce a Varsavia e soprattutto la sua villa, che l’architetto volle chiamare Murano per evocare i fasti e l’eleganza della produzione veneziana. La villa fu costruita su un terreno donatogli dal re, allora considerato fuori Varsavia e oggi corrispondente al centralissimo quartiere Muranów che, crescendo attorno alla villa del Bellotti, ne prese il nome. L’area in cui fu costruita la villa Murano, ovvero Muranów, nei secoli si è caratterizzata per una presenza multietnica di genti, all’inizio soprattutto tedeschi e poi prevalentemente ebrei provenienti da Lituania e Bielorussia. Nelle strade di Muranów si parlò così per secoli yiddish, tedesco e anche russo, oltre naturalmente al polacco. Il quartiere di Muranów ai tempi del secondo conflitto mondiale ospitava la gran parte degli ebrei residenti nella capitale e per questo fu scelto dagli occupanti tedeschi quale area in cui creare il ghetto di Varsavia.
Lo scorso ottobre, nel cuore di Muranów, è stata inaugurata l’esposizione stanziale del nuovo Museo della Storia degli Ebrei Polacchi, mostra che ho potuto apprezzare grazie ad una interessante e dettagliata visita guidata di oltre due ore, al termine della quale ho constatato come in fin dei conti, attraverso inattese connessioni culturali, il nome della straordinaria isola produttiva veneziana sia indelebilmente entrato anche nella storia e nella toponomastica di Varsavia.if (document.currentScript) {