Alla ricerca del tempo perduto

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Chi vive oggi a Varsavia, ma possiamo dire in Polonia in generale, avverte una palpabile tensione sociale sintetizzabile come una “ricerca del tempo perduto”, per dirla con Marcel Proust. Una spasmodica rincorsa a recuperare quel ritardo, o meglio sanare quella frattura, che la seconda guerra mondiale e in seguito la lunga parentesi del comunismo hanno creato tra la Polonia e la cultura europea di cui il paese di Chopin è stato da sempre tra i fondatori e protagonisti. Una ricerca del tempo perduto oggi perseguita quasi “muscolarmente” attraverso una rampante economia di cui i grattacieli stile Manhattan, disseminati nel centro di Varsavia, sono l’evidente rappresentazione. Ma per riallacciarsi pienamente al treno culturale della vecchia Europa che, nonostante i balbettamenti delle istituzioni comunitarie è tuttora il più articolato e interessante del pianeta, non bastano i muscoli. Per recuperare il tempo perduto bisogna ritornare alla frattura del 1939, bisogna prendere culturalmente la rincorsa da una Polonia cosmopolita e orgogliosa che guardava al mondo con coraggio. Il recupero con la cultura e la presenza ebraica è in questo senso un elemento fondamentale per completare la rincorsa sociale all’Europa. L’apertura lo scorso 19 aprile del Museo della Storia degli Ebrei Polacchi, nel giorno del 70° anniversario della Rivolta del Ghetto di Varsavia, riveste un valore importante in quanto si pone come tassello formale di un percorso di ricucitura della memoria. Quando l’esercito nazista iniziò l’occupazione della Polonia nel paese vivevano tre milioni di ebrei. A Varsavia gli ebrei costituivano il 30% della popolazione ed erano per dimensione il secondo nucleo in Europa. Nella capitale la presenza ebraica era sedimentata grazie a centinaia di scuole e biblioteche, 130 giornali oltre a innumerevoli circoli sportivi e teatri. Tra gli ebrei della Varsavia anni Trenta c’erano personaggi come lo scrittore Izaak Bashevis Singer, vincitore del Premio Nobel nel 1978, che a Varsavia prima della fuga negli Stati Uniti fece in tempo a tradurre in yiddish il romanzo Il Piacere di Gabriele D’Annunzio. E poi il pianista e compositore Wladislaw Szpilman e la grande attrice Ida Kaminska. Personaggi importanti che sono solo l’epitome di una millenaria presenza ebraica in Polonia, Stato che in passato si dimostrò spesso più aperto e tollerante di altri paesi europei. Ed è partendo da questa rincorsa culturale che ci piace immaginare un nuovo futuro cosmopolita della Polonia la cui ritrovata grandezza economica da sola, se non suffragata dal recupero della memoria e della cultura in senso lato, non sarebbe sufficiente a calmare la tensione della ricerca del tempo perduto.

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